| Il modello di Whipple Il modello comunemente accettato all'inizio del
    secolo prevedeva che le comete fossero costituite da un insieme di particelle di materiale
    meteoritico, di natura estremamente porosa, contenenti una notevole quantità di gas
    molecolare che, liberato dall'azione del Sole, originava la chioma. Tale modello,
    denominato a mucchio di ghiaia, trovava la sua ragione d'esistere
    nell'analisi spettroscopica della chioma ed in quella chimica e morfologica del materiale
    meteoritico (la cui provenienza era da tempo associata a comete ormai distrutte); il
    problema della stabilità gravitazionale (considerato cruciale per garantire la
    sopravvivenza all'azione del Sole) fu risolto nel 1902 da O. Callandreau che dimostrò
    come già per un agglomerato di 10 km di raggio e 1017g di massa la stabilità
    gravitazionale era garantita.Si possono, a proposito di questo modello, fare le seguenti considerazioni (Tempesti,
    1985):
 1. il numero di molecole di C2
    della chioma è stimabile (indicazione tratta dallo studio degli spettrogrammi) in 1035-
    1037, e la loro vita media è inferiore a un giorno (il che comporta che la
    chioma venga quotidianamente rinnovata completamente);
 2. analisi di laboratorio
    indicano che il materiale meteoritico è in grado, mediamente, di assorbire 1019
    molecole di gas per grammo, e questo porta ad ipotizzare, considerando un nucleo di 1018
    g, la presenza di un totale di 1037 molecole assorbite;
 3. a questo punto i conti non
    tornano: assumendo, infatti, che il numero complessivo di molecole della chioma sia 10
    volte quello di C2, si può subito notare che la chioma cometaria prodotta
    secondo il modello del mucchio di ghiaia potrebbe essere alimentata per un giorno
    soltanto...
 Nel 1950 F.L. Whipple mise in discussione tale modello e ne propose uno nuovo: la
    palla di neve sporca. Whipple, in sostanza, scartava il concetto di nucleo
    cometario come aggregato di materiale meteoritico legato dalla gravità introducendo, al
    suo posto, un nucleo compatto composto di ghiaccio e di materiale non volatile. Nel
    modello di Whipple 1 grammo di ghiaccio può produrre da 1022 a 1023
    molecole, il che comporta una disponibilità teorica di 1040- 1041
    molecole e dunque, rispetto al modello precedente, una possibile attività cometaria per
    un tempo da 103 a 104 volte più lungo. Nel delineare le
    caratteristiche del suo modello, Whipple inizia dall'analisi delle temperature di fusione
    ed ebollizione delle molecole ritenute responsabili della formazione della chioma, vale a
    dire CH4, CO2, NH3, C2N2 e H2O.
 Non appena, infatti, il nucleo si avvicina al perielio, l'aumento dellirraggiamento solare
    innalza la temperatura superficiale delle zone esposte al sole provocando in tal modo la
    vaporizzazione dei ghiacci e la loro dispersione nello spazio circostante. Anche il
    materiale meteoritico con dimensioni al di sotto di un certo limite viene espulso a causa
    della bassa attrazione gravitazionale del nucleo e da' origine alla formazione della coda
    di polveri. Si può verificare che alcune particelle più grandi o di maggiore densità
    possano essere rimosse dallo shock termico, ma normalmente esse resteranno sulla
    superficie producendo in tal modo uno strato isolante: questo guscio sarebbe il
    responsabile della sostanziale riduzione della perdita di gas del nucleo nei passaggi
    successivi della cometa.
 Se tutta la radiazione solare venisse assorbita, un oggetto sferico posto ad 1 U.A. dal
    Sole perderebbe in un anno, per vaporizzazione dalla sua superficie, uno strato di
    ghiaccio di circa 4 metri (Whipple, 1950).   Bisogna tener presente, però, che
    se il materiale meteorico è una aggregazione a grana grossa e debolmente cementata, la
    conduzione del calore sarà bassissima a causa della ridotta superficie di contatto tra le
    particelle che costituiscono lo strato superficiale del nucleo e questo comporta una
    riduzione del coefficiente di trasmissione del calore di un fattore 104
    rispetto a quello di un corpo solido compatto, rendendo poco efficace questa modalità di
    trasferimento del calore. Il meccanismo più efficiente per il trasferimento del calore
    solare dalla superficie del nucleo al suo interno sembra identificabile con la modalità
    dell'irraggiamento, vale a dire l'emissione di radiazione a bassa temperatura assorbita
    dalle particelle meteoritiche.
 La parte più interna del nucleo cometario sarà pertanto sempre estremamente fredda, non
    solo per la descritta bassa conduttività termica, ma anche perchè il calore disponibile
    è stato impiegato nella vaporizzazione, un meccanismo estremamente efficace di
    refrigerazione nel vuoto.
 Oltre alla produzione e al mantenimento della chioma nel corso di un
    passaggio, vi erano altri 3 fatti cruciali per i quali il modello precedente era
    inadeguato:1. La presenza di comete
    (solitamente indicate con il termine di Sun-grazer) che si avvicinano moltissimo al
    Sole e non vengono completamente disintegrate. Il calore estremamente elevato dovrebbe
    far sublimare tutte le sostanze assorbite e gran parte dello stesso materiale meteoritico
    che le compone; inoltre le forze mareali disperderebbero facilmente i piccoli corpi
    componenti il nucleo.
 2. La presenza di comete periodiche.
    La struttura a mucchio di ghiaia non potrebbe assorbire nuovo materiale per
    rimpiazzare quello espulso nel passaggio precedente, data la bassissima disponibilità
    offerta dallo spazio interplanetario, e dunque sarebbe impossibile per una cometa
    ripresentarsi più volte allappuntamento con il necessario contenuto di sostanze volatili.
 3. Il moto talvolta "non
    gravitazionale" delle comete. Il modello ritenuto valido prima di Whipple non
    consentiva di spiegare come mai alcune comete anticipassero il ritorno al perielio ed
    altre, invece, lo ritardassero; la Encke, per esempio, anticipa mediamente ogni suo
    ritorno di 2 ore e mezza rispetto all'istante calcolato tenendo conto di tutte le
    possibili perturbazioni gravitazionali, mentre la Halley ad ogni ritorno è in ritardo di
    circa 4 giorni.
 Il modello proposto da Whipple superava brillantemente tutti e tre questi ostacoli:
 1. Un corpo compatto con le dimensioni
    di un nucleo cometario riesce a passare nelle vicinanze del Sole senza volatilizzare del
    tutto, ma solamente in un sottile guscio esterno. E' certamente possibile che si possano
    verificare delle fratture del nucleo (fatto avvenuto per la cometa Ikeya-Seki), ma non la
    sua completa dispersione.
 2. Se il nucleo è composto
    principalmente di ghiacci, non ha la necessità di dover rimpiazzare lungo l'orbita il
    materiale che, sublimando, ha dato origine alla chioma in quanto la massa stimata di un
    nucleo cometario compatto può, infatti, abbondantemente rendere ragione dei numerosi
    passaggi delle comete periodiche.
 3. Che la causa del moto "non
    gravitazionale" delle comete potesse essere identificata con una forza di reazione
    conseguente alla espulsione di gas dal nucleo era stato proposto da Bessel nella prima
    metà del secolo scorso (si contrapponeva all'ipotesi che proponeva l'esistenza di un
    mezzo resistente interplanetario), ma i calcoli escludevano che i gas liberati nel modello
    a mucchio di ghiaia potessero avere intensità sufficiente. Nel modello di Whipple,
    invece, le velocità termiche di espulsione delle molecole dal nucleo a seguito della
    sublimazione di ghiacci (con valori dell'ordine di decine di m/sec) possono giustificare
    la presenza di un effetto-razzo; nella cometa di Halley sono stati rilevati dalla sonda
    Giotto veri e propri getti di gas e polveri uscenti da fessure presenti nella crosta
    superficiale del nucleo nel lato rivolto verso il Sole. L'anticipo o il ritardo del
    ritorno al perielio di una cometa può essere spiegato proprio ricorrendo a questo
    effetto-razzo ed alla presenza di una rotazione del nucleo (Figura 15 - Whipple, La
    natura delle comete, pag.285).
 
      
        |  | Figura 15 Spiegazione dell'effetto-razzo:
 A  se
        la rotazione del nucleo è concorde con il moto di rivoluzione, la reazione del getto
        spingerà la cometa in avanti sull'orbita, allargandola, facendo in tal modo aumentare il
        periodo (ritardo al passaggio successivo). B  se il nucleo ruota in
        direzione opposta al suo moto orbitale intorno al Sole, l'effetto-razzo causerà una forza
        frenante che spingerà la cometa verso l'interno in direzione del Sole, con la conseguente
        diminuzione del periodo (anticipo al passaggio successivo). |  Una cometa è dunque sostanzialmente composta da un nucleo, costituito da un
    agglomerato di ghiacci e polveri la cui struttura interna ci è sconosciuta, orbitante
    intorno al Sole; l'innalzamento della temperatura incontrato nel moto di avvicinamento al
    perielio provoca l'evaporazione dei ghiacci e la conseguente espulsione dal nucleo di
    materiale volatile e polvere che va a costituire la chioma.   
    L'interazione di questa struttura con il campo magnetico interplanetario e con il vento
    solare origina una scia visibile denominata coda, rivolta sempre, come
    una banderuola segna-vento in direzione opposta al sole (vedi Figura 16 - riprodotta da: Hamilton, http://bang.lanl.gov/solarsys/comet.htm maggio
    1996).
 Ritengo molto interessante, prima di passare ad analizzare la morfologia
    delle parti che compongono una cometa (nucleo, chioma e coda) presentare una tabella che
    riporta le abbondanze relative delle sostanze gassose, volatili (ghiacci) e non volatili
    (alla temperatura terrestre ordinaria) nei corpi del Sistema Solare verificando in tal
    modo la consistenza delle teorie che identificano la zona di Urano e Nettuno quale zona
    principale di formazione dei corpi cometari. 
      
        |  | Gassose | Volatili | Non volatili |  
        | Sole | 0.99 | 0.015 | 0.0025 |  
        | Pianeti terrestri | tracce | tracce | 1.0 |  
        | Giove | 0.9 | 0.1 | tracce |  
        | Urano/Nettuno | tracce | 0.85 | 0.15 |  
        | Comete | tracce | 0.90 | 0.10 | (Da: Tempesti - Giornale di Astronomia vol.11,
    n.2, 145; 1985)  Una seconda tabella (desunta dai dati ottenuti dall'esplorazione
    ravvicinata della cometa Halley) permette un ulteriore confronto tra il materiale
    cometario ed i valori tipici del Sistema Solare analizzando i rapporti isotopici di alcuni
    elementi. Tale raffronto consente di esprimere due considerazioni:A. la sostanziale concordanza dei
    parametri della Halley con quelli riferiti al Sistema Solare per carbonio, azoto e zolfo
    non può che confermare l'origine "solare" del materiale cometario;
 B. la discordanza nel caso del rapporto
    deuterio/idrogeno può essere interpretata in termini evolutivi, nel senso l'intensa
    fotodissociazione dell'acqua produce la liberazione di enormi quantità di idrogeno, e
    questo fenomeno interessa preferenzialmente l'idrogeno normale, più leggero rispetto al
    deuterio; da qui l'incremento della quantità relativa di quest'ultimo (Guaita, 1990).
 
      
        |  | Halley | Sistema Solare |  
        | D / H | 5x10-4 | 10-5 |  
        | C 12 / C 13 | 80±20 | 89 |  
        | N 14 / N 15 | 250±100 | 270 |  
        | S 34 / S 32 | 0.045±0.01 | 0.044 | (Da: L'Astronomia, 98,
    30; 1990) Il nucleo
 Ciò che stupisce maggiormente
    allorchè si voglia affrontare l'analisi di un nucleo cometario è l'impossibilità di una
    sua osservazione diretta. Quando la distanza da noi potrebbe essere favorevole per una sua
    agevole osservazione, infatti, è completamente avvolto e nascosto dalla chioma che esso
    stesso ha originato; quando, al contrario, tale chioma è assente, il nucleo cometario si
    trova già ad una distanza tale da non poter essere rilevato a causa delle sue ridotte
    dimensioni.   Un fenomeno così maestoso qual è l'apparizione di una cometa
    trova, dunque, la sua spiegazione in un oggetto celeste che, a ben guardare, non può che
    risultare deludente...Le dimensioni attualmente stimate per i nuclei cometari vanno da alcune centinaia di metri
    a poche decine di km: l'analisi ravvicinata compiuta dalla sonda Giotto del nucleo della
    Halley nel marzo 1986 ha reso possibile determinarne le misure in 15 x 7.2 x 7.2 km
    evidenziando anche una forma fortemente irregolare. La localizzazione del massimo di
    attività nel nucleo della Halley (rilevato sia dalla Giotto che dalle sonde Vega) proprio
    agli estremi dell'ellissoide consente di escludere che la forma irregolare del nucleo
    possa dipendere da un meccanismo di sublimazione preferenziale in certe zone. E' pertanto
    preferibile ipotizzare che la cometa sia nata già di forma irregolare come un agglomerato
    di frammenti (Keller e Thomas, 1989). Ed il modello più recentemente proposto per i
    nuclei cometari prevede proprio non una struttura compatta quale quella suggerita da
    Whipple, bensì un aggregato di frammenti con i ghiacci che agirebbero da collante (Mc
    Sween e Weissman, 1989).
 Tale descrizione è in linea con le ipotesi della struttura di alcuni asteroidi (rubble-pile)
    e potrebbe efficacemente rendere ragione dello sbriciolamento del nucleo che è allorigine
    dei fenomeni meteoritici associati alla dispersione di materiale cometario nello spazio.
    Inevitabilmente, però, bisogna convenire con Taylor (1992) che, allo stato attuale, la
    struttura interna dei nuclei cometari è ancora un mistero; ottime prospettive per
    svelarlo sono riposte nella futura missione spaziale Rosetta, che analizzerà in loco il
    nucleo della cometa Wirtanen.
 Importantissimi per la determinazione dei parametri fisici delle comete sono stati, anche
    in questo caso, i contributi delle sonde, prima fra tutte la sonda Giotto. Essa ha
    permesso di misurare le emissioni del nucleo della Halley quantificando quella dei gas in
    2x107 g/sec e quella delle polveri
    in 0.3-1.0x107 g/sec; da questi
    dati si può desumere che ogni passaggio nei pressi del Sole comporta per questa cometa
    una perdita di circa 1014 g e,
    poichè la stima della massa totale suggerisce un valore di 1017 g, possiamo in tutta sicurezza riconoscere molto più che plausibili i suoi
    numerosi passaggi (una trentina) nei secoli scorsi, minuziosamente segnalati dalle
    cronache storiche.Un altro dato estremamente significativo procurato dall'osservazione
    ravvicinata del nucleo della Halley è il suo colore scuro: è infatti in grado di
    riflettere solamente il 4% della luce solare incidente.
 Continuando nell'analisi del nucleo cometario, la Figura 17 (Taylor, Solar
    System Evolution, pag. 124, fig. 3.10.1) schematizza la sua struttura in modo molto
    significativo e trova sostanziali conferme nelle immagini inviate a Terra dalla sonda
    Giotto.
 
      
        | 
 |  
        | Figura 17 - Rappresentazione di un nucleo
        cometario. Vi si possono notare i vari processi che ne hanno modificato la morfologia iniziale: i
        più importanti dal punto di vista osservativo sono certamente le fratture che lasciano
        fuoruscire i gas e le polveri destinate ad alimentare la struttura della chioma e della
        coda.
 | Una ulteriore importante informazione ottenuta dal fly-by
    della Giotto (la sonda è transitata ad una distanza di circa 600 km dal nucleo della
    Halley) è la localizzazione delle zone di sublimazione dei gas: queste appaiono ben
    delimitate localmente e corrispondono ad una superficie attiva valutabile in circa il 10%
    della superficie nucleare.Dopo aver più volte citato la missione Giotto ricordiamo, per dovere di precisione, che
    il primo incontro di una sonda spaziale con una cometa è stato quello dell'International
    Cometary Explorer (ICE) l'11 settembre 1985 con la cometa Giacobini- Zinner.
 Le modeste dimensioni dei nuclei cometari trovano conferma anche da osservazioni radar
    come nel caso delle rilevazioni (NASA-JPL) effettuate sulla cometa Hyakutake dalle quali
    è risultato un nucleo di soli 1-3 km, il che fa supporre, data l'intensa attività
    manifestata, che la porzione di superficie nucleare attiva fosse ben superiore al 10%
    rilevato per la Halley (Cremonese, 1996).
 Differente, invece, è il caso della Hale-Bopp per la quale, ipotizzando una frazione del
    10-20% della superficie quale zona attiva, si è giunti a stimare un nucleo di 30-40 km,
    misura confermata sia dall'analisi dell'intensità della radiazione termica emessa dal
    nucleo, sia da immagini infrarosse riprese dal satellite europeo ISO, sia, infine,
    dall'analisi del profilo di luminosità della chioma dal quale si è risaliti all'entità
    della luce riflessa dal nucleo e, dunque, alle sue dimensioni.
 Già si è accennato al fatto che, una volta esaurita la riserva interna di ghiacci,
    oppure nell'impossibilità di fuoruscita di materiale sublimato a causa della presenza di
    una sorta di crosta protettiva, l'aspetto del nucleo non sarà molto
    dissimile da quello di un asteroide e la discriminazione tra oggetti appartenenti alle due
    classi sarà praticamente impossibile (Wetherill e Shoemaker, 1982).
 Un ultimo aspetto da sottolineare riguardo al nucleo di una cometa è rappresentato
    dall'analisi della sua rotazione.
 Nella descrizione del modello di Whipple si è già evidenziato che la rotazione del
    nucleo, associata all'effetto-razzo, è fondamentale per interpretare i movimenti
    cosiddetti "non gravitazionali" (anticipi e ritardi nei ritorni al perielio)
    delle comete.
 L'ipotesi della rotazione del nucleo si basava inizialmente solo su argomentazioni di tipo
    statistico (non si conosce nessun corpo celeste che non sia dotato di rotazione), ma
    l'affinarsi delle tecniche fotometriche (studio delle curve di luce) ha contribuito non
    poco a confermare i dati teorici.  Permangono talvolta alcuni dubbi nel quantificare
    con precisione il periodo di rotazione, ma questo dipende dalle evidenti difficoltà
    osservative legate alle ridotte dimensioni del nucleo, alla sua forma spesso fortemente
    irregolare ed alla possibile imprevedibilità del meccanismo di emissione di gas e polveri
    in seguito ad una variazione di reattività al calore solare.  Per la Halley, ad
    esempio, vi sono indicazioni contraddittorie tra la periodicità di 53 ore suggerita
    dall'osservazione della riga Lyman-alfa dell'H (confermata dalle immagini ottiche riprese
    dalla Giotto), e la periodicità di 7.4 giorni rilevata da misure fotometriche nelle bande
    del C2, del CN e dell'OH).
 La Hyakutake, al contrario, ha mostrato una rotazione decisamente più rapida, con il
    periodo stimato in 6-8 ore.
 Ed è questa elevata velocità di rotazione, unita alle piccole dimensioni del nucleo ed
    all'intensa attività (interpretata come conseguenza di una superficie giovane e non
    ancora ricoperta da alcuna crosta protettiva) che suggerisce l'ipotesi che questa cometa
    sia un frammento staccatosi "recentemente" (sempre rapportato ai tempi cosmici!)
    da un corpo cometario molto più grande (Crippa et al., 1996).
 
 La chioma E' l'elemento morfologico che dà
    il nome a questi corpi celesti.Il primo aspetto da evidenziare riguardo la chioma è la sua enorme estensione rispetto al
    nucleo; per essa, infatti, pur nella impossibilità di effettuare una misura univoca, si
    possono ipotizzare, al momento del massimo sviluppo, dimensioni tipiche comprese tra 30
    mila e 100 mila km.
 
  E'
    costituita dai gas espulsi dal nucleo e le variazioni delle sue dimensioni
    nell'avvicinamento al Sole dipendono da due meccanismi tra loro contrastanti: da un lato
    vi è l'innalzamento della temperatura, che, aumentando la produzione di gas, tende ad
    estenderla, dall'altro la maggiore pressione della radiazione solare, che tende a ridurla. La chioma di una cometa è formata da tre gusci concentrici: procedendo dal nucleo verso
    l'esterno incontriamo un primo ridotto involucro chiamato chioma interna (o chioma
    molecolare), successivamente la chioma intermedia (o chioma dei radicali) ed infine
    un enorme guscio chiamato chioma di idrogeno.
 La struttura e le dimensioni tipiche di una chioma sono schematicamente indicate nella Figura
    18 (adattata da: Tempesti, Giornale di Astronomia, pag. 152, fig. 2), notiamo
    comunque che i valori riportati sono indicativi ed estremamente variabili da una cometa
    all'altra, come si può evincere anche dalla seguente tabella (i valori riportati sono i
    diametri espressi in km):
 
      
        | Nome della cometa | Chioma Visibile | Chioma di H |  
        | Tago-Sato-Kosaka (1969 IX) | 500 mila | 15 milioni |  
        | Bennett (1970 II) | 900 mila | 2 milioni |  
        | Encke | 400 mila | 1 milione | (Dati desunti da: Tempesti, Giornale di
    Astronomia, vol.11, N.2, 145; 1985) La formazione della chioma è l'elemento che consente di individuare le
    comete tramite osservazione visuale quando ancora si trovano in media a circa 3 U.A. dal
    Sole.  E' alla individuazione della nebulosità della chioma che volge la sua
    attenzione il cercatore di comete, una figura più che mai attuale, come conferma la
    circostanza che la recentissima cometa 1996 B2 (una delle ultime scoperte in ordine di
    tempo) è stata individuata il 31.01.96 da un fotoincisore giapponese, Yuji Hyakutake.
      E, sempre a proposito dei cercatori di comete, ritengo interessante annotare che il
    Catalogo di Messier del 1784 (la prima raccolta di oggetti galattici ed
    extragalattici di particolare evidenza ottica) sia nato proprio come
    "pro-memoria" per non considerare erroneamente come cometa una nebulosa o un
    ammasso stellare.Parlando della individuazione visiva delle comete è opportuno fare una breve
    considerazione sulla luminosità di questi corpi celesti.
 Se il nucleo fosse un oggetto inattivo alla luce solare, la sua magnitudine dipenderebbe
    dalla distanza dal Sole (r) e dell'osservatore (Delta) secondo una proporzionalità
    quadratica, suggerendo una relazione del tipo
 m = mo + 5 log (Delta) + 5 log (r) Ma il nucleo è fortemente reattivo alla radiazione solare e dunque la
    relazione dovrà essere sostituita da m = mo + 5 log (Delta) + 2.5 n log (r) nella quale la dipendenza è del tipo rn.Nella maggior parte dei casi il valore di n è compreso tra 2.5 e 11.5, è dunque molto
    variabile da una cometa all'altra e, spesso, anche per una stessa cometa.  A questo
    proposito basterà ricordare la forte delusione associata alla cometa Kohoutek (1973, XII)
    per la quale il valore di n stimato inizialmente (4.0) avrebbe dovuto portarla alla
    magnitudine apparente -3; il parametro n, invece, diminuì fino al valore 2.0 e ciò
    portò la cometa, nel momento di massima luminosità, soltanto alla 4a
    magnitudine.
 Fin dalle prime osservazioni spettroscopiche (ad opera di G.B. Donati e W. Huggins nel
    1864) risultò che la chioma è costituita da composti del carbonio, dell'idrogeno,
    dell'ossigeno e dell'azoto.
 Nelle chiome di comete che si portano molto vicino al Sole sono state inoltre rilevate le
    righe di emissione di metalli allo stato atomico quali Na, K, Mn, Cu, Fe, Co e Ni,
    provenienti certamente dalla vaporizzazione del materiale meteoritico del nucleo.  La
    coppia di righe gialle del Na fu rilevata per la prima volta analizzando la cometa 1882 II
    in prossimità del perielio, situato solamente a 0.06 U.A. dal Sole. L'analisi dettagliata
    delle sostanze rilevate nelle chiome delle comete ha, fin dall'inizio, suggerito che le
    molecole osservate non sono quelle fuoruscite dal nucleo, il che comporta che le molecole
    espulse dal nucleo debbano essere più complesse (vengono dette anche molecole-madri);
    esse costituiscono la chioma interna, struttura non direttamente accessibile alle
    osservazioni.  Queste molecole-madri originano, in seguito alla dissociazione
    provocata dalla radiazione solare, le cosiddette molecole-figlie che costituiscono
    l'involucro intermedio o chioma visibile.
 Le molecole-figlie sono principalmente, oltre al radicale OH, il carbonio bimolecolare
    (C2) che origina le bande di Swan, il cianogeno (CN) e l'ossido di carbonio
    ionizzato (CO+).
 L'abbondanza spettroscopica dell'ossidrile OH+ ed il fatto che venisse rilevato un forte
    aumento di luminosità e di estensione della chioma a distanze inferiori a 3 U.A.
    (distanza alla quale si raggiunge una temperatura che consente l'evaporazione del ghiaccio
    d'acqua) induceva a concludere che proprio il ghiaccio d'acqua fosse quello prevalente tra
    i ghiacci cometari, ma suggeriva anche la presenza sicura di Idrogeno.
 La conferma venne nel 1970 quando il satellite OAO2, per mezzo di osservazioni
    nellultravioletto, rilevò attorno alla chioma della Tago-Sato-Kosaka (1969, IX) un enorme
    involucro di idrogeno, inosservabile da Terra.  Dall'analisi dei dati relativi a
    varie comete, rilevati anche grazie ai satelliti, si può desumere che l'acqua costituisca
    circa 80% delle molecole emanate dal nucleo.  Oltre all'acqua, fra le molecole-madri
    si ha, in quantità però decisamente minore, l'anidride carbonica (CO2), l'acido
    isocianidrico (HNC), l'ammoniaca (NH3), il cianuro di metile (CH3CN) ed il metano (CH4).
 La rilevazione dellabbondanza relativa dellacido isocianidrico (HNC) rispetto allacido
    cianidrico (HCN) osservata nella cometa Hyakutake hanno portato W.M. Irvine e
    collaboratori (1996) a constatare come tale rapporto sia molto simile a quello osservato
    nelle nubi molecolari interstellari e piuttosto differente dal rapporto di equilibrio che
    ci si aspetterebbe nelle zone più esterne della nebulosa solare, dove si pensa che le
    comete si siano formate e questo fatto, di cui vengono proposte varie spiegazioni, non
    può che confermare come vi siano ancora molti punti oscuri nella piena comprensione di
    questi oggetti celesti.
 Da osservazioni radio della stessa cometa è emersa la presenza di abbondante emissione
    (2.2x1026 molecole/sec) di etano (C2H6) con il picco sulla regione nucleare,
    localizzazione che induce a considerare l'etano come molecola-madre e non prodotto di
    dissociazione (Cremonese, 1996); dell'importanza di questa abbondante produzione (e della
    sua interpretazione) abbiamo già parlato affrontando il tema dellorigine delle comete.
 Ha destato qualche perplessità, anche perchè era la prima volta in assoluto che ciò si
    verificava, la scoperta (27.03.1996) di emissione di raggi X di bassa energia dalla cometa
    Hyakutake rilevata dal satellite orbitante tedesco ROSAT (IAUC 6373).  Attualmente
    tale fenomeno è stato osservato in altre otto o nove comete e sono già state avanzate
    alcune ipotesi in grado di rendere ragione dell'emissione.
 Una prima ipotesi prevede un meccanismo di cattura di raggi X di origine solare da parte
    di una nuvola di molecole di acqua e successiva riemissione in un processo di
    fluorescenza; una seconda ipotesi spiega il fenomeno ricorrendo a meccanismi di
    riflessione di raggi X di origine solare ad opera di grani sub-microscopici di polvere
    espulsi dal nucleo (Caprara, 1996; Cremonese, 1996).
 Ma l'ipotesi al momento ritenuta più plausibile, suggerita dai ricercatori
    dellUniversità del Michigan, è che il fenomeno possa essere ricondotto alla violenta
    interazione tra gli atomi e le molecole della chioma con il vento solare, situazione che
    porterebbe alla cattura di elettroni il cui successivo decadimento a livelli energetici
    inferiori avrebbe come risultato il rilascio energetico nella regione X dello spettro.
 
 La coda Pur essendo, per tradizione, il
    tratto caratteristico (e certamente più spettacolare) di una cometa, non sempre la coda
    accompagna l'apparizione di questi corpi celesti.   E' in ogni caso molto raro, poi,
    che essa giunga a proporzioni così ragguardevoli come nel caso della Ikeya-Seki (1965
    VIII), una cometa la cui coda ha raggiunto l'eccezionale lunghezza di quasi 1 U.A.Che la coda fosse in qualche modo collegata con l'emissione di materia dal nucleo sospinta
    da generiche forze repulsive solari era stato ipotizzato fin dall'inizio del secolo scorso
    (da Olbers e Bessel) anche in forza del dato osservativo che suggeriva sempre per la coda
    un orientamento volto in direzione opposta al Sole, il che comporta che la coda segua il
    nucleo durante l'avvicinamento al perielio, ma lo preceda nella fase di allontanamento dal
    Sole.  Già alla fine del 1800 Svante Arrhenius identificava questa forza con la
    pressione esercitata dalla radiazione elettromagnetica.
 L'analisi spettroscopica delle code cometarie mostra la presenza di due componenti
    distinte: coesistono, infatti, sia uno spettro continuo di tipo solare, sia uno spettro a
    bande luminose.  L'interpretazione che ne deriva è che il continuo sia dovuto a
    riflessione della luce solare ad opera del pulviscolo (espulso dal nucleo assieme ai gas),
    mentre quello in emissione sia causato da gas eccitato dalla radiazione solare.  
    Questa duplice natura diventa evidentissima in alcuni casi (ad esempio la cometa Mrkos,
    1957 V) in cui si è potuto notare una vera e propria biforcazione della coda cometaria.
 Oltre che l'analisi spettroscopica, dunque, anche l'osservazione visuale permette di
    identificare la tipologia della coda: nel caso della coda di polveri si può notare
    una struttura ad arco, mentre la coda di plasma è caratterizzata da una struttura
    rettilinea disposta lungo la congiungente Sole-cometa.  La tipica forma arcuata della
    coda di polveri si spiega grazie all'azione di tre componenti: la velocità della cometa
    nel suo moto orbitale, la forza gravitazionale (attrattiva) che si esercita sui granuli di
    polvere e la pressione di radiazione (repulsiva).  Il rapporto tra le ultime due
    rimane praticamente costante, a pari dimensioni delle particelle, a qualunque distanza dal
    Sole poichè entrambe variano con l'inverso del quadrato della distanza.  Non è
    costante, invece, la velocità della cometa nella sua orbita, per la quale vale la terza
    legge di Keplero, che prevede un progressivo aumento della velocità avvicinandosi al
    perielio.  Questo comporta essenzialmente due conseguenze per la coda di una cometa
    in avvicinamento al Sole: anzitutto un aumento delle sue dimensioni, e, in secondo luogo,
    la maggiore evidenza del fenomeno della curvatura della coda di polveri.
 Fin verso la metà del secolo si è tentato di applicare lo stesso meccanismo per spiegare
    le code di plasma; le molecole, però, non hanno nei confronti della radiazione il
    comportamento puramente meccanico del pulviscolo, ma coinvolgono processi di assorbimento
    e riemissione della radiazione che solamente lo sviluppo della Meccanica Quantistica ha
    potuto definire.
 La soluzione del problema, giudicata valida ancora oggi, fu formulata negli anni '50 da
    L.F. Biermann che identificò il vento solare (fondamentalmente composto da protoni ed
    elettroni emessi dal Sole con una velocità di 500 km/sec) quale responsabile dell'origine
    delle code di plasma delle comete; furono proprio i fenomeni osservati in queste code a
    dare indicazioni e fornire prove sull'esistenza di una radiazione solare di tipo
    corpuscolare.  In questa ottica si riescono a spiegare le repentine disconnessioni e
    successivi ricongiungimenti (più volte osservati) della coda di plasma dal nucleo; il
    vento solare, infatti, essendo costituito da nubi disomogenee di cariche elettriche in
    moto, genera campi magnetici rapidamente variabili nel tempo, ed in essi si muovono lungo
    traiettorie non sempre lineari le particelle costituenti le code.
 In seguito alla missione spaziale destinata allo studio della cometa Giacobini-Zinner
    (International Cometary Explorer) durante il suo passaggio del 1985, si sono raccolti dati
    che hanno reso possibile ipotizzare la struttura della coda.  Essa era formata da due
    lobi distinti, ognuno di essi composto da linee di campo magnetico che si estendevano
    dalla chioma; i due lobi erano dotati di opposta polarità e tra di essi vi era un
    "divisorio" di corrente elettrica (Figura 19 - AA.VV., The
    Giacobini-Zinner handbook, pag. I-8, fig. I-4
  Contrariamente a quanto rappresentato, però, non è stata individuata
    alcuna onda durto di prua o "bow-shock" nelle vicinanze del nucleo). Questa struttura traeva origine dallinterazione della ionosfera cometaria con le linee del
    campo magnetico interplanetario.  L'azione del vento solare sulla superficie esterna
    generava poi una struttura complessa, un avvolgimento delle linee di campo intorno al
    nucleo "come di spaghetti su una forchetta" (Von Rosenvinge et al.,
    1986).
 Le osservazioni intraprese in occasione del passaggio delle due ultime spettacolari comete
    (la Hyakutake e la Hale-Bopp) hanno portato nuove importanti conoscenze in merito alle
    code cometarie.  Grazie alle rilevazioni della sonda SOHO è stato possibile,
    infatti, individuare nella cometa Hyakutake una terza coda (oltre alle due tradizionali)
    formata da ioni pesanti, mentre l'impiego di particolari filtri nelle osservazioni della
    cometa Hale-Bopp ha evidenziato una coda costituita da atomi di Na neutro fino ad allora
    sfuggita ad ogni rilevazione (IAUC 6631).  Questultima coda è risultata lunga 50
    milioni di km e larga circa 500 mila km, ben distinta dalle altre due code e spostata
    angolarmente di alcune decine di gradi rispetto ad esse; osservazioni specifiche, poi,
    hanno consentito di dimostrare che tale coda non ha nulla a che vedere con la tradizionale
    coda di plasma.  Allo stato attuale non è ancora ben chiaro il meccanismo che sta
    allorigine di questa coda: le perplessità maggiori stanno nel fatto che il Na si trova a
    grandi distanze dal nucleo, ma a quel punto, secondo i modelli standard, si dovrebbe già
    essere ionizzato e dunque non dovrebbe più lasciare traccia.
 Un secondo aspetto problematico è l'enorme accelerazione cui sono soggetti gli atomi di
    Na (la loro velocità è di 58 km/sec ad una distanza di 5 milioni di km dal nucleo e ben
    95 km/sec ad una distanza doppia), accelerazione che non è spiegabile ricorrendo
    unicamente all'azione del vento solare.
 E molto facile a questo punto, ed il lettore se ne sarà certamente reso conto, concludere
    il discorso relativo alle comete sottolineando come siano ancora molti i punti oscuri
    nella comprensione di questi fenomeni celesti; limportante è non disperare di riuscire a
    strappare, si spera in un giorno non lontano, anche gli ultimi segreti di questi corpi
    ghiacciati, autentici "vagabondi dello spazio" (Lang e Whitney, 1994).
 
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